Ogni appassionato di piante, prima o poi incontra la sua orchidea. Ed è subito amore: con qualche semplice consiglio potrai godere della soddisfazione di vederla rifiorire.
Originaria delle foreste pluviali asiatiche nelle quali venne scoperta circa 400 anni fa dai “cercatori di piante” europei, il suo nome deriva dal greco e significa “farfalla notturna”: simboleggia grazia, femminilità, ma anche affetto e autostima.
Le orchidee esercitano un fascino irresistibile, non fosse altro perchè la loro coltivazione è ancora circondata da una inspiegabile aura di mistero, perchè coltivare una Phalaenopsis, è semplicissimo e si rivelerà una compagna insostiuibile.
Un pò di storia
Risale al 2007 uno studio condotto dalla università di Harvard che ha riscritto le conoscenze della botanica moderna, infatti questa pianta che appartiene al genere più diffuso sul pianeta, sarebbe vissuto addirittura prima della comparsa dei dinosauri, andandosi a collocare in un contesto temporale che risale dai 76 agli 84 milioni di anni fa.
Tale scoperta è stata fatta analizzando i resti fossili di di un ape intrappolata nell’ambra, dal cui torace è stato estratto il polline dell’Orchidea Meliorchis Caribea.
Precedentemente questa scoperta si riteneva che le orchidee fossero piante relativamente recenti in quanto la struttura florale altamente specializzata, è opposta a quella primitiva che prevedeva molti petali, stami e pistilli; adesso si è compreso che le orchidee iniziarono prestissimo la loro evoluzione, perchè ebbero modo di diffondere le loro caratteristiche genetiche in un’area dove la deriva dei continenti iniziò 100 milioni di anni fa.
Come coltivarla
– Buona luminosità, no sole diretto;
– Temperatura attorno ai 20°C.;
– Bagnare mediamente una volta la settimana secondo queste modalità:
1. immersione: poni la pianta in una bacinella d’acqua e lasciala il tempo necessario perchè la corteccia si imbeva, grosso modo sarà necessaria circa un ora;
2. annaffiatura: bagna il bark finchè non sia completamente intriso d’acqua.
L’acqua ideale per la Phalaenopsis è povera di calcio, ed in linea generale per quanto riguarda le irrigazioni basarsi su queste facili intuizioni: osservare le radici che devono essere verdi, turgide e il bark deve essere umido; anche valutare la pesantezza del vaso potrà essere di aiuto: un vaso leggero è sempre sinonimo di mancanza d’acqua.
La Phalaenopsis è una pianta che dispone di buone riserve idriche e nutrizionali; potrà resitere anche diverse settimane senza apparentemente accusare il problema: quando la pianta inizia a dare evidenti segni di stress irdico – foglie abbassate e raggrinzite – bisogna intervenire immediatamente, provvedendo a reidratarla tramite immersione del vaso in acqua sino a completa ripresa.
– La pianta è sfiorita: lo scapo florale ingiallirà sino a disseccarsi, tagliare accorciandolo man mano che questo avviene.
Detto fra noi
– Un bagno bene illuminato sarebbe l’asso nella manica per non sbagliare collocazione;
– Rendila felice: mettile accanto dell’acqua in modo che possa godere del vapore acqueo;
– E’ sfiorita: nel caso toglila dalla cucina, sappiamo che fa molto arredo, ma se vorrai vederla rifiorire dovrà stare ben lontana dal calore dei fornelli;
– Radici: non ti preoccupare se escono dal vaso o se hai la sensazione che stiano troppo strette, a loro piace. Assolvono anche alla fotosintesi clorofilliana, pertanto è importante che stiano a contatto con la luce. Non a caso le Phal vengono coltivate in vasi trasparenti!
– Corteccia di pino. E’ normale, e non provare ad aggiungere terra: la tua Phalaenopsis è una pianta epifita, significa che vive serenamente sospesa in aria e precariamente aggrappata ai rami degli alberi;
– Soddisfazione: ovvero il sentimento che scaturisce dal cuore, quando l’orchidea rifiorisce.
Curiosità
A qualche lettore, non sarà sfuggita l’assonanza del nome “Orchidea” col greco “Orchis” che significa testicolo. Ma perchè?
Le orchidee dell’area mediterranea, presentano un apparato radicale tuberoso, le cui rotondità devono aver ricondotto ad una somiglianza con gli attributi maschili.
Dobbiamo la nomenclatura al filosofo greco Teofasto vissuto nel VI secolo a.C.: a quei tempi le orchidee venivano impiegate a scopi medicamentosi secondo quella che era definita la “Teoria dei segni” nella quale le piante venivano utilizzate per curare le parti del corpo cui somigliavano, e le orchidee venivano impiegate in infusi considerati energetici e stimolanti.
Una pianta unica, che come poche riesce a coniugare bellezza, grazia e una resistenza fuori dal comune, una pianta che come poche diventerà parte del quotidiano diventando una presenza irrinunciabile.