Per i collezionisti botanici più esigenti o più semplicemente per chi ama le rose, alcuni suggerimenti del nostro maestro giardiniere, per una selezione esclusiva di rose antiche francesi a radice nuda. E nell’orto è ora di preparare il terreno.
Collezione di rose a radice nuda
Quando si parla di collezione è sempre meglio scegliere una specie, una categoria o differenti specie vegetali con una caratteristica in comune. Una piccola collezione di rose antiche per esempio, per noi cultori di rose, dovrebbe tener conto del gruppo R x centifolia muscosa, ovvero le rose antiche per eccellenza. Queste, adorabili, sono tutte espressione della superba creatività vivaistica francese dell’800.
Ecco un breve elenco di rose antiche francesi a radice nuda che potete trovare anche sul nostro shop on line.
‘Blanche Moreau’ di Moreau Robert (1880). Fiori bianchi doppi e profumati, tomento ruvido porpora quasi nero. Più tardiva delle altre muscose.
‘Chapeau de Napoleon’ o Rosa Cristata, di Vibert (1826). Fiori rosa argento doppi molto profumati, assolutamente particolare il tomento sui calici
‘Duchesse de Verneuil’ di Portemer (1856). Forse la più raffinata, con petali rosa confetto sul rovescio e più scuri sulla pagina superiore. Profumo intenso.
‘Nuits de Young’ di Laffay (1845). Tra le antiche più compatte ed erette, fiore medio piccolo, semidoppio rosso porpora vellutato.
‘William Lobb’ di Laffay 81885). Dai fusti lunghi e vigorosi, fiori grandi semidoppi e profumati in toni cangianti, porpora magenta e rosa. Da appoggiare a un tutore.
‘Zoe’ di Vibert (1830). E’ la prima rosa antica che ha preso casa nel giardino del maestro giardiniere. Fioritura molto generosa rosa vivo, tomento profumatissimo, spesso dentro a un fiore ne genera un altro.
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E’ ora di pensare a un nuovo orto
Se avete un sogno, quello di coltivare la terra, beh è arrivato il momento di pianificare un bel lavoro per poterlo realizzare. Le giornate sono ancora tiepide e il clima mite rende molto piacevole la vita all’aperto.
Quindi fatevi sotto e cominciate così: procuratevi degli emendanti organici. Sono quelle sostanze che aggiunte al terreno ne modificano le caratteristiche di struttura, contenuto di Humus, consistenza, capacità di ritenere o drenare l’acqua o così via. E’ quasi impossibile, infatti che un terreno appena dissodato abbia le qualità ottimali per essere coltivato a orto, ma quasi tutti i terreni lo possono diventare con l’uso di ammendanti. Le sostanze codificate di legge in questa categoria sono 15, ma nell’orto serve molto meno. Potete esagerare con le quantità, non succederà nulla di grave.
Gli emendanti di cui non potete fare a meno
Compost. Deriva dal processo di trasformazione dei materiali organici di scarto del giardino e della casa. In un precedente articolo vi avevamo spiegato come si fa. Migliora la struttura dei terreni troppo leggeri o troppo compatti e attiva la carica batterica benefica del terreno, ma ha scarse capacità fertilizzanti.
Letame o stallatico. Miscuglio di deiezioni animali (bovini, equini, caprini, ovini) e della loro lettiera. Una volta compostato, contribuisce al miglioramento delle caratteristiche fisiche del terreno. Contiene una certa percentuale di azoto. Quelli di coniglio e pollo sono ottimi ma molto forti, e vanno usati con cautela. Essendo scomparse le stalle dove approvvigionarsi, si può ricorrere allo stallatico disidratato e pellettato (circa 1,5 kg per 10 mq), ma non è la stessa cosa.
Torba. Viene estratta dalle torbiere, terreni in cui i vegetali morti si sono stratificati e in parte fossilizzati in ambiente impregnato di acqua. E’ un ammendante pregiato soprattutto per terreni sabbiosi e argillosi; miscelata a compost e sabbia in parti uguali e setacciata fornisce un ottimo letto di semina.
Vermicompost. E’ quanto resta della “digestione” della terra da parte dei lombrichi; è efficace ma passato di moda. E’ purtroppo difficile da trovare.
Se avete queste sostanze è ora di utilizzarle per preparare il terreno alle coltivazioni di primavera. Avrete posto le basi perché possano essere rigogliose.
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L’articolo è liberamente tratto dal libro: “Le Stagioni del maestro giardiniere” di carlo Pagani e Mimma Pallavicini.